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Benessere fisico o mentale riconoscerlo per esserne grati

  • Immagine del redattore: Denis Vignocchi
    Denis Vignocchi
  • 5 giorni fa
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 4 giorni fa

Benessere fisico o mentale riconoscerlo per esserne grati 

Pur non essendo io convenzionalmente titolato per parlarne vorrei oggi condividere una riflessione. 


ringraziare

La riconoscenza è uno di quei moti interiori che, pur sembrando semplici, sono in realtà il prodotto di un intreccio raffinato di coscienza, sensibilità e maturità emotiva. È qualcosa che parte da dentro, un riconoscere nel senso più nobile del termine il valore di ciò che si riceve, che sia un gesto, una parola, un tempo condiviso o persino una rinuncia fatta per noi. Non è solo un "grazie", ma una forma di connessione sottile, che unisce chi dà e chi riceve in un legame che va oltre l'azione stessa.

Eppure, nonostante la bellezza quasi disarmante di questo sentimento, la riconoscenza non è affatto scontata. Molti non riescono ad attuarla, o a esprimerla, e quando ciò accade, le cause non sono banali. Bisogna scendere nei meandri della psiche per comprendere perché un gesto così umano possa risultare tanto difficile.

A livello psicologico, molte persone hanno sviluppato, fin dall’infanzia, una modalità relazionale fondata sull’autosufficienza forzata. Chi ha vissuto in ambienti familiari dove l’amore era condizionato, o dove mostrare bisogno significava esporsi a rifiuto o giudizio, può aver appreso che accettare un aiuto o un dono è pericoloso. In queste persone, la riconoscenza viene vissuta quasi come una perdita di potere, un’ammissione di dipendenza. E quindi, anche se sentono qualcosa dentro, lo bloccano. Un meccanismo di difesa, insomma: meglio apparire forti che mostrare gratitudine e scoprire il fianco.

In altri casi, la riconoscenza viene ostacolata da dinamiche legate all’autostima. Chi ha una visione distorta di sé — chi si sente immeritevole, ad esempio — può ricevere un gesto d’affetto o un favore e, invece di sentirsene toccato, provare disagio. Una sorta di colpa, come se quel gesto fosse immeritato. La gratitudine allora si trasforma in imbarazzo, e l’


grazie

individuo si chiude, convinto di non avere il diritto di accettare né tantomeno di esprimere riconoscenza.

Leggendo a livello psichiatrico o comunque nei disturbi più marcati della personalità, possiamo assistere a situazioni ancor più complesse. Nelle strutture narcisistiche, ad esempio, la riconoscenza è percepita come una minaccia al proprio senso di superiorità. Riconoscere il valore di qualcun altro significherebbe relativizzare il proprio. Il narcisismo patologico 

( l narcisismo patologico, detto anche disturbo narcisistico di personalità, è caratterizzato da: Senso grandioso di sé, spesso esagerato e scollegato dalla realtà. Costante bisogno di ammirazione, come se l’autostima fosse alimentata solo dallo sguardo degli altri. Mancanza di empatia, vera o mascherata: fatica a riconoscere o sentire davvero le emozioni altrui. Sfruttamento degli altri, usati come strumenti per i propri fini, anche affettivi. Invidia marcata, spesso accompagnata dalla convinzione che siano gli altri a invidiare lui/lei. Fragilità nascosta, nonostante l’apparente sicurezza: critiche, fallimenti o rifiuti possono scatenare rabbia, vergogna o crolli interiori.)

non tollera di dover dire “grazie” senza sentirsi in qualche modo scavalcato. È una forma di fragilità travestita da forza: una maschera rigida, che impedisce al cuore di esprimersi. Ma anche nella depressione o in alcuni stati ansiosi gravi, può accadere che la persona non riesca a percepire il valore dei gesti altrui, non perché non li apprezzi, ma perché è talmente immersa nel dolore da non riuscire a riconoscere ciò che le arriva come positivo. È come voler guardare il sole da dietro una tenda nera: c’è luce, ma non la si vede.

C’è poi il fattore culturale. In una società dove il successo è misurato in termini di prestazione e possesso, e dove l’atto del "ricevere" è spesso visto con sospetto, la gratitudine viene ridotta a un formalismo. Le persone imparano a dire grazie per educazione, ma non per sentire. In questo quadro, la riconoscenza vera diventa quasi una forma di disobbedienza poetica: un atto intimo, libero, e per questo poco allenato.

Ma la riconoscenza non è solo verso gli altri. Spesso la più difficile è quella che dobbiamo a noi stessi. Perché richiede un confronto con la nostra storia, con le scelte fatte, con le cadute e le risalite. E se non siamo abituati a rispettarci, se siamo cresciuti nel giudizio o nella pressione costante a "dover fare di più", allora anche il semplice atto di dirci “bravo, hai fatto del tuo meglio” può diventare un'impresa. Riconoscersi è il primo passo per riconoscere l’altro.

In fondo, praticare la riconoscenza è un atto rivoluzionario. È come respirare consapevolmente in mezzo a un mondo che corre e dimentica. È una forma di presenza, di attenzione, di ascolto. E come ogni disciplina richiede tempo, pratica, e soprattutto un cuore che non abbia paura di mostrars

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